I segni grafici (+&*) nel brand naming, funzionano?

Negli ultimi tempi, stiamo osservando un’attenzione sempre più elevata verso i segni grafici nei brand naming rispetto al passato. La richiesta delle aziende è spesso la stessa: avere un nome breve che comunica tanti concetti insieme. I segni grafici, in questo senso, vengono visti come un’ottima soluzione a questo dilemma: permettono di concentrare le idee e possono essere un modo per distinguersi o per trasmettere efficacemente i valori aziendali. Che si tratti di un nuovo brand name o di un’evoluzione di un brand già esistente, l’uso di un segno grafico può essere un modo visivamente e semanticamente interessante per mantenere corto il nome e arricchire il messaggio.

Nella vasta panoramica dei segni grafici (esistono più di 250 caratteri speciali sul computer) abbiamo individuato tre categorie.

  • La prima è quella dei segni grafici muti, solitamente segni di interpunzione, che non vengono pronunciati anche se hanno un nome (per esempio ? ! , * .).
  • La seconda è quella dei segni grafici leggibili nella propria lingua (con il potenziale dubbio di pronuncia: lo dico in inglese o in italiano?) come ad esempio @ + &.
  • Infine ci sono i segni grafici sonori e leggibili, con pronuncia internazionale e riconosciuti dall’AFI (Alfabeto Fonetico Internazionale), come ɛ (come nel brand Ɛsso) o ə (lo schwa) di cui parleremo in un prossimo articolo.

Nella maggior parte dei casi, i segni grafici, almeno i principali, hanno un significato condiviso e alcuni funzionano meglio di altri in quanto a pronuncia. Per quanto riguarda i segni grafici leggibili, funzionano spesso come i numeri (ad esempio 7up o And1) dove solo il contesto e la notorietà del brand possono fornire elementi sulla corretta pronuncia.

Insieme alla pronuncia, un altro elemento da tenere in considerazione quando si decide di avere un segno grafico nel proprio brand name è la tutela legale: non basta aggiungere un asterisco per distinguersi dal concorrente con lo stesso nome. Alcune giurisdizioni vietano l'inclusione nei marchi registrati di alcuni segni grafici e lo scenario varia da paese a paese. Per questo è fondamentale identificare i paesi nei quali si desidera tutelare il proprio marchio, al fine di non incorrere in costosi dietrofront.

Vediamo ora insieme quali sono i segni grafici più usati nel brand naming ad oggi.

  • Tra i più popolari c’è il +, che molto spesso viene usato per indicare un’evoluzione del brand o una versione migliore, un qualcosa in più, appunto (AppleTV+, Google+). Quando il servizio Disney+ fu lanciato, non mancarono le critiche. Un colosso come Disney, proprietario di contenuti esclusivi e di altissima qualità, fa il suo ingresso in un mercato in fermento come la TV in streaming on demand e per farlo opta per un nome tutto il contrario di eccitante, che si limita ad aggiungere un + senza ulteriori connotazioni al proprio brand name. Questa scelta fu vista da molti come poco coraggiosa se non come un’occasione sprecata. In generale, il limite del +, inteso come upgrade del brand, è che condizionerà il miglioramento del prodotto o servizio.
  • Un altro segno grafico usato da molti anni ormai è la cosiddetta “e commerciale” (ampersand in inglese o esperluette in francese) che viene spesso usata per indicare un’unione o evocare uno storytelling (Dolce&Gabbana, Tiffany&Co, Johnson&Johnson, H&M). Più recentemente, invece, lo si trova all’inizio e non più in mezzo ai cognomi (& Other Stories) probabilmente per dare un toco di distintività o non allungare eccessivamente il brand name.
  • Seguono i segni di interpunzione (interrogativi, esclamativi ecc…) per dare un tono di voce particolare, una personalità al brand. Ne è l’esempio Guess? che con il punto interrogativo mette al centro il consumatore ponendogli una domanda, evocando in questo senso la sua individualità. O ancora il brand di borse Segue… con la sospensione che crea mistero, o Darling,, il brand di cosmetica che aggiunge una virgola per evocare romanticismo, oppure ancora espressoh., abbreviato sui prodotti in oh. per veicolare un concetto di semplicità e assertività (punto e basta).
  • Altro segno grafico di tendenza negli anni 2000 e oggi poco utilizzato è la chiocciola, che viene aggiunta per comunicare tecnologia (come ad esempio We@bank). Oggi la tecnologia è molto evoluta e il segno grafico più emblematico di questo periodo è l’hashtag che tenderà molto probabilmente a scomparire con l’evoluzione della tecnologia. L’hashtag in particolar modo ha assunto un valore rivendicativo, viene usato per parlare di movimento sociale (ad esempio #metoo o ancora più recentemente #KyivNotKiev, campagna di comunicazione lanciata dal ministero degli affari esteri ucraini con un vero e proprio logo ad hoc).
  • Ultimo ma non meno interessante è l’uso dell’asterisco, segno grafico muto per eccellenza, per coprire qualcosa di sconveniente come nel brand F**K oppure per evocare inclusività. Proprio F**K con il suo dominio internet effek.it svela la corretta pronuncia del brand. Qui l'asterisco è usato per malcelare un turpiloquio diffuso e conosciuto in tutto il mondo e annunciare chiaramente la promessa del brand: offrire abbigliamento provocante e sensuale.

Ad ogni modo le considerazioni da fare prima di decidere di usare un segno grafico nel proprio brand sono tante. Come abbiamo evidenziato un punto cruciale è l’interpretazione che ne verrà fatta, molto spesso sarà quella condivisa ma molto probabilmente sarà condizionata dalla lingua o cultura di riferimento. Inoltre bisogna essere sicuri di poter mantenere coerenza tra il brand e il messaggio veicolato dal segno grafico.

Di fatto è impossibile non notare che alcuni dei brand (tra cui proprio quelli sopracitati) oggi hanno eliminato i segni grafici e optato per una comunicazione di naming più semplice. Parallelamente anche i font e le grafiche dei relativi loghi si sono alleggeriti e semplificati: We@Bank oggi è semplicemente WeBank, Darling, ha tolto la virgola e anche Céline ha perso l’accento.

Perché?

Analizzando con maggiore attenzione alcuni brand name che, con risultati altalenanti, hanno fatto o fanno uso di segni grafici, ne abbiamo concluso che l’uso di alcuni simboli aggiungeva più complessità che beneficio. La @ di We@bank dava senza dubbio l’idea di una banca giovane, al passo coi tempi, focalizzata sul digitale e facilmente contattabile, ma il simbolo @ lasciava spiazzati i clienti, a detrimento del brand. Da qui, con tutta probabilità, la decisione di toglierla.

Detto questo, crediamo che i simboli siano una pratica realmente valida nel brand naming. Sono in grado di evocare in maniera puntuale, rapida e diretta concetti e valori che solo molte parole potrebbero evocare altrettanto efficacemente. Tutto ciò è però vero purché i brand name che li impiegano rispettino alcune condizioni fondamentali: abbiano un significato legato al brand stesso, siano pronunciabili, tutelabili e applicati con coerenza in tutti i punti di contatto con il cliente, primi fra tutti sito e social.

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