Siamo tutti #petalosi! Il successo di questo aggettivo inventato, tra storytelling, tenerezza e social, è istantaneo, ma basta per farlo essere un nome giusto?

La storia la conoscete tutti: una maestra elementare corregge un errore tenero e ingenuo di un suo alunno di otto anni che ha descritto un fiore come "petaloso" e lo porta all'attenzione dell'Accademia della Crusca, che risponde altrettanto teneramente, spiegando come possono le parole inventate diventare parole vere a tutti gli effetti. La storia fa il giro del web e istantaneamente l'hashtag #petaloso diventa virale. 

Prontissime le aziende ad approfittare del commovente fenomeno, creando alcune campagne di instant marketing. Eccone mostrate alcune qui accanto.

Di parole inventate a scopi pubblicitari o mediatici dal mondo delle aziende abbiamo tanti esempi, con risultati altalenanti, alcuni recenti (come dimenticare l'"inzupposo" biscotto proclamato da Banderas per Mulino Bianco), altri più datati (ricordate quella campagna anni Ottanta in cui Fiat definiva la propria Uno "comodosa"?). Ma questa volta il percorso è al contrario: l'azienda non inventa e propone un termine, ma ne adotta, a costo zero, uno irresistibile per la positività della storia che lo accompagna, per la sua ingenuità e tenerezza, per la dedizione della maestra che scrive e dell'istituzione che risponde; sceglie un termine già benedetto dal web sfruttabile con la rapidità e prontezza che solo i social consentono. Il successo è assicurato e l'effetto è piacevole perché la creatività non manca. Abbiamo voglia di primavera e siamo tutti #petalosi.

E fin qui tutto bene.

Quello che sorprende di più è che a neppure 24 ore dallo scatenarsi della passione del web per questo neologismo, "petaloso" era già stato registrato presso l'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi per moltissime classi merceologiche: praticamente per tutti i prodotti, dall'alimentare al fashion. Altre azioni di tutela e iniziative web-based, imprenditoriali e non, sono state lanciate a breve distanza.

Al di là del caso specifico, registrare il marchio (o comunque scegliere il nome per un'attività a medio-lungo termine) è stata una mossa utile o sensata?

Se a livello imprenditoriale è sempre meglio depositare un marchio prima di utilizzarlo e - se in linea con il progetto imprenditoriale - depositarlo in più classi può essere una mossa di cautela, dal punto di vista del naming, non necessariamente utilizzare un nome di cui il web si è innamorato è una buona strategia.

Per prima cosa il web è volatile, si sa (e i fiori appassiscono velocemente). Dobbiamo chiederci se un neologismo che è diventato virale rimarrà impresso per molto nella memoria. Sceglierlo è sicuramente rischioso. Addirittura, se il termine diventa sinonimo di un determinato momento o se comincia a cambiare accezione, sul lungo periodo il nome potrà suonare vecchio, passato di moda e ormai privo di quell'energia positiva che aveva quando è nato, e questo può avvenire anche dopo poco poco tempo (sui social 48 ore sono già un'eternità).

Ma soprattutto dobbiamo chiederci: quel termine è un nome giusto? Sicuramente, nel caso di #petaloso, può essere bello, tenero e commovente in sé, ma è giusto per un prodotto? È adatto per un bene o servizio già esistente e pronto per essere messo sul mercato? Se così non è o se il prodotto/servizio ancora non esiste, chi ci garantisce che avere la disponibilità di questo nome servirà a qualcosa? 

Plausibile appropriarsi dei valori positivi di questo termine con campagne di marketing (appunto) istantaneo, ma è sensato costruirci sopra una linea di prodotti, azione che istantanea non può essere? Forse no. 

Camille Faure - Project Manager Nomen Italia

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