Cosa non è il brand naming: 4 miti da sfatare
Il brand naming, nostro core business da venticinque anni, è la creazione del nome di un prodotto, di un servizio, di una azienda. Nella prassi questa creazione segue un percorso ben definito, volto a fare sì che il nome abbia tutti i requisiti (in prima battuta la disponibilità dal punto di vista della tutela legale) per diventare un marchio forte.
Fino a qui tutti d’accordo: la letteratura è ampia, inquadra il brand naming tra gli strumenti della brand strategy che, a sua volta, è un elemento fondamentale della strategia di marketing di una azienda, riporta moltitudini di casi ben e mal riusciti.
Ma forse è più interessante dire cosa il brand naming non sia e come non vada fatto, il che ci porta ad evidenziare i quattro equivoci più comuni che, nella nostra esperienza, lo riguardano, e che spesso ci portano a dover fare evangelizzazione sul brand naming nei confronti dei nostri clienti. Ed ecco quindi un po' di naming tip per i non addetti ai lavori.
1. Il brand naming non è una componente secondaria del prodotto, ma un suo aspetto fondamentale, tanto importante quanto la qualità del prodotto stesso: ci capita spesso che le nostre aziende clienti abbiano in mano un prodotto di assoluta qualità e di profonda innovazione ma che, per via di un naming sbagliato, abbiano difficoltà ad associarlo a un nome all’altezza e quindi a veicolarlo come si deve sul mercato. Questo succede anche per via dei cosiddetti nomi temporanei, che le aziende utilizzano nel momento in cui stanno ancora cercando un nome definitivo, una prassi non così poco diffusa che toglie l’effetto sorpresa al consumatore e spesso lo induce in confusione (Sarà un prodotto diverso? Sarà lo stesso?).
2. Il processo di brand naming non va affrontato con superficialità: come tutti i progetti strategici, non basta avere una vaga idea di come debba essere il nome, ma serve un brief ben strutturato – che sarà poi passato all’agenzia – che contenga tutti gli elementi caratterizzanti del nome nuovo. Anche solo esplicitando questi concetti, sarà molto più chiaro per il team marketing eliminare ridondanze e stabilire le priorità nel processo di creazione del nome.
3. Il brand naming non può avere un budget disallineato rispetto agli obiettivi di utilizzo del marchio. Non serve spiegarlo: c’è una enorme differenza, sia a livello di creazione del nome che a livello di registrazione di marchi e tutela, tra un progetto nazionale e un progetto internazionale. Nel momento in cui l’azienda decide di non concentrarsi esclusivamente sull’Italia, è bene sapere che i costi (ma è più corretto parlare di investimenti) salgono in maniera esponenziale: non più una ma molte lingue da considerare, non uno ma più paesi nei quali registrare il marchio, più energie da dedicare alla coerenza del progetto. Affrontare il processo di naming con un budget non adeguato significa pregiudicarlo completamente.
4. Il brand naming non è mai una attività che può svolgere il marketing team autonomamente, fosse anche solo per gli aspetti legali implicati. Come sempre diciamo ai nostri prospect, creare un nome è una professione di nicchia e molto precisa, che neppure le grandi brand agency possono proporre con professionalità se non hanno una struttura dedicata al naming al proprio interno. Servono infatti competenze linguistiche, legali, in ogni caso non solo creative.